Riflessioni

UNITI IN CRISTO

CHIESA DI CRISTO IN POMEZIA ____________________________________________________________ ROBERTO TONDELLI L’UNITÀ DEI CREDENTI PICCOLA COLLANA DI CULTURA RELIGIOSA 2 Alla dolce memoria degli amici in Cristo Duino Boarini l’umile sorridente (1926-2004) Giuseppe Persichetti nobile potatore d’ulivi (1922-2000) Carmine Ramenno dalle grossa dita nodose (1943-2002) viventi in Dio L’Autore discute dell’unità dei credenti in Cristo alla luce di parole deboli, quelle presentate nel vangelo di Giovanni e nella lettera di Paolo apostolo agli Efesini. Gesù, pregando per l’unità dei discepoli poco prima del suo arresto, mostra molto coraggio. Torni il tempo in cui per parlare di fede, unità, religiosità, occorra molto coraggio. Ci si augura che questo scritto trovi buona accoglienza presso il Lettore attento, verso il quale l’Autore resta a disposizione per chiarimenti e osservazioni. Dalla conclusione: È, questa, una proposta modesta affinché si torni alla semplicità di Cristo Gesù nel Vangelo. Ne abbiamo bisogno tutti: chi ha abbandonato il corpo di Cristo per seguire le vie contorte dell’immaginazione umana; chi ha gettato via la grazia di Dio disertando «il radunarci assieme di noi stessi»; chi ha dimenticato la riconciliazione in Cristo per riconciliarsi col mondo; chi si fa condurre da uno spirito «diverso» e segue un vangelo «diverso» da quello proposto dallo Spirito del Signore che dimora nella chiesa del Signore. ___________________________________________ Proprietà letteraria riservata © 2000 Roberto Tondelli, L’unità dei credenti (Capriotti ed.) © 2013 L’unità dei credenti (revisione) Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l’archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l’autorizzazione scritta dell’Autore. Per richieste di copie degli studi pubblicati nella PICCOLA COLLANA DI CULTURA RELIGIOSA rivolgersi a: Chiesa di Cristo Gesù Biblioteca Biblica Storica Religiosa largo Goffredo Mameli, 16A 00040 Pomezia, Roma (RM) tel: 339 5773986 – 06 91251216 cnt2000@alice.it info@chiesadicristopomezia.it Pomezia (ROMA), 2013 L’UNITÀ DEI CREDENTI Questo scritto vide la luce sul finire dell’anno 2000, alla fine di un secolo in cui si è cominciato a parlare di unità dei cristiani. Un concetto di ampio ecumenismo sembra prevalere. Si registrano incontri tra credenti di varia estrazione, protestante, cattolica, anglicana, ortodossa, come pure ebraica e islamica. Si notano inoltre positive aperture fra credenti e non-credenti. Si possono esprimere valutazioni diverse circa questa tendenza all’unità, ma non si può negare che incontrarsi e accogliersi per ragionare intorno alla Parola di Cristo sia più proficuo che scomunicarsi o bruciarsi gli uni gli altri, il che purtroppo è stato fatto quasi sempre in nomine Christi. In questo studio si vogliono esaminare con semplicità alcuni aspetti che sembrano fondamentali per l’unità presentata nel Nuovo Testamento. La speranza è che queste note possano favorire la riflessione personale e qualche scambio fra credenti di diverso orientamento, al fine di poter imparare tutti con umiltà dall’unico Maestro, crescendo spiritualmente verso di Lui, tenendo presente l’esortazione dell’apostolo: giungere «all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo; affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore; ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo». Cristo Gesù edifica Il testo biblico presenta Dio stesso che costituisce il popolo suo. Già nel salterio si legge: «Se l’Eterno non edifica la casa, / invano si affaticano i costruttori; / se il Signore non protegge la città, / invano vegliano le guardie». Nella visione ebraica è soltanto Dio che «edifica Gerusalemme, / raccoglie i dispersi d’Israele; / egli guarisce chi ha il cuore spezzato / e fascia le loro piaghe». Più tardi, al culmine della rivelazione in Cristo, la formazione di questo popolo si prefigura non più come processo chiuso, esclusivo – da cui può originare una mentalità elitaria (popolo eletto) – bensì aperto, inclusivo. Un popolo che origina da una chiamata (invito, vocazione) rivolta in effetti all’umanità intera: Cose vedute da Isaia, figlio di Amos, su Giuda e su Gerusalemme. Avverrà allora, alla fine dei giorni, che il monte della casa del Signore si ergerà sulla cima dei monti, e s’innalzerà sui colli: affluiranno ad esso tutte le nazioni, accorreranno molti popoli, dicendo: «Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; Egli c’insegnerà, certo, le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri: perché è da Sion che uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme.» «O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendere denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono gusterete cibi succulenti! Porgete l’orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete; io farò con voi un patto eterno, vi largirò le grazie stabili promesse a Davide. Ecco, io l’ho dato come testimonio ai popoli, come principe e governatore dei popoli. Ecco, tu chiamerai nazioni che non conosci, e nazioni che non ti conoscono accorreranno a te, a motivo del Signore, del tuo Dio, del Santo d’Israele, perché egli ti avrà glorificato». (Isaia 2,1 ss.; 55,1 ss.) Con questa predicazione vigorosa e lungimirante di Isaia si accorda pure l’azione degli apostoli i quali presentano Dio come il Salvatore di «tutti» gli uomini, e ne mostrano la volontà di salvezza universale. L’Edificatore e Protettore, il Santo che «raccoglie i dispersi» e «guarisce» i cuori rotti, lo incontriamo in Gesù, il Lettore di parole antiche che attendevano di essere tradotte in fatti: Si recò a Nazaret, dov’era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov’era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; / perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; / mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, / e ai ciechi ricupero della vista; / e a rimettere in libertà gli oppressi, / e a proclamare l’anno accettevole del Signore». (Luca 4,16 ss.) Con un appello invito rivolto a poveri, prigionieri, ciechi, oppressi, Gesù Messia inaugura l’«anno accettevole del Signore». In altra occasione si legge una promessa ben nota: Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose; «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere». (Matteo 16, 13 ss.) Nessun uomo – per quanto potente e grande agli occhi di altri, e pur dotato di capacità personali notevoli – può proporsi come edificatore della chiesa del Signore. È Gesù l’edificatore della Gerusalemme nuova che costituisce il popolo suo; per amore e con amore egli cerca i dispersi, riconduce all’ovile le pecorelle perdute. Questo lavoro di ricerca della persona, questa fatica per riproporre un modo di pensare positivo e un agire per amore, egli li attua attraverso la parola sua: non parola sciamanica, non lista di rituali formule magiche, bensì parola predicata che propone alla persona di trasformarne l’atteggiamento abbattuto, il modo di pensare negativo provocato dal peccato. Persino l’odiante Caino si sente incoraggiare da quella parola che ne agita la coscienza: «Perché sei irritato? E perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!» Caino trascura il consiglio, e si avvia al fratricidio. Accade allo stesso Gesù che l’azione della sua parola venga frustrata: Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Perciò Gesù disse ai dodici: «Non volete andarvene anche voi?». Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio». (Giovanni 6,66 ss.) Pietro, che per rivelazione divina riconosce nel Nazareno il Figlio di Dio (Matteo 16,16), in questo brano parallelo di Giovanni confessa che Gesù è «il Santo di Dio», l’unico che offre davvero «parole di vita» a quanti amano ascoltarle. Parole che, si è detto, non sempre sono bene accolte; molti, anzi, se ne scandalizzeranno e volgeranno le spalle a Cristo. Tra quei molti, tanti si allontaneranno per i cattivi esempi, per le diatribe futili che zelanti discepoli, pieni di se stessi, promuoveranno. Ciò nonostante alcuni apriranno i cuori all’amore per la verità, riconoscendo, come fece Pietro, che soltanto Gesù dice davvero parole che donano la vita. Un popolo nuovo si costituisce proprio attraverso le parole di Cristo indirizzate alla mente di chi vuole ascoltare con umiltà. Ecco, ad esempio, un momento di questo genere; si tratta della conclusione di un discorso di Pietro e della reazione immediata di molti alle sue parole: «(…). Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò noi tutti [gli apostoli] siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli stesso dice: “Il Signore ha detto al mio Signore: / Siedi alla mia destra, / finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi.” Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso». Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore, e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Fratelli, che dobbiamo fare?». E Pietro a loro: «Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Perché per voi è la promessa, per i vostri figli, e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà». E con molte altre parole i scongiurava e li esortava, dicendo: «Salvatevi da questa perversa generazione». Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone. (Atti 2,36 ss.) La chiesa del Signore nasce grazie alla predicazione della Parola del Signore. I primi convertiti costituiscono una comunità. Di loro Luca dirà: «Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. (…). Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati». Quando parole di vita vengono proposte con fedeltà e franchezza, ecco davvero il Signore all’opera: l’Edificatore costruisce la comunità sua, aggiungendovi nuovi convertiti. Una realtà semplice, niente affatto utopica, che può attuarsi anche oggi perché quelle parole di vita sono le stesse; basta soltanto riscoprirne la fonte per dissetarci ancora a quell’acqua sorgiva. L’Edificatore non ha perduto il proprio vigore. La preghiera di Gesù Cristo Al cuore della lunga preghiera fatta da Gesù prima del suo arresto si trova l’unità dei suoi discepoli, preoccupazione non casuale. Gustiamone la lettura: Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, giacché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse. Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te; poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi; e tutte le cose mie sono tue, e le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi. Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. Ma ora io vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in sé stessi la mia gioia. Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Santificali nella verità: la tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo. Per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati nella verità. Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro. (Giovanni 17) C’è un intento forte che anima la supplica, modello di intercessione, della quale si sottolineano qui alcuni aspetti che mostrano come Gesù tenda «ad inserire tutti nell’intenzione del Padre, che Cristo fa continuamente sua, cioè la realizzazione dell’unità perfetta». La sezione maggiore (vv. 6-19) riguarda in maniera specifica gli apostoli. Sono loro, infatti, che hanno «ricevuto» le parole che il Padre ha dato al Figlio e hanno davvero creduto in Cristo Gesù. Questi rivolge a pro loro una preghiera speciale, talmente esclusiva da indurlo a dire: «Prego per loro, non prego per il mondo». A loro è stata data e affidata la parola di Dio, con tutte le conseguenze – anche negative sul piano personale – che ciò potrà comportare. Questa parola è verità, e la richiesta è che gli apostoli siano santificati nella verità, quindi appartati, separati, per il servizio della verità. Non a caso i credenti vengono presentati nel Nuovo Testamento come «edificati sul fondamento degli apostoli e profeti». Il brano successivo della preghiera riguarda non soltanto gli apostoli, ma anche coloro che avrebbero voluto imparare a credere in Gesù attraverso un formidabile strumento generatore di fiducia: Non prego soltanto per questi [gli apostoli], ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno. (vv. 20-21) Dunque il desiderio del Cristo è che l’unità dei credenti sia fondata sulla «parola» di Dio: tale, infatti, è la «parola» data e affidata agli apostoli «per mezzo» della quale si può ancor oggi fare esperienza della fiducia in Gesù. L’unità dei credenti è radicata nella verità, quella che Gesù ha ricevuto dal Padre, ha affidato agli apostoli, e che ogni generazione riceve tramite loro. La preghiera di Gesù fa invecchiare il tempo, lo scandaglia a fondo col lanternino della fiducia alla ricerca amorevole di quanti crederanno in Lui per mezzo della parola degli apostoli: è questo lo strumento scelto, questa la base buona per l’unità presente e futura di quanti si fideranno e si affideranno a Lui tramite quella parola apostolica. Gesù «per primo» ha compiuto un atto di fede che è atto d’amore: «Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo», scriverà Giovanni. Colpisce l’espressione affettuosa finale dell’invocazione, consentendo una salutare e, forse, fruttuosa vergogna morale – intensa, ma possibilmente non plateale – nel ricordo consapevole delle divisioni, da chiunque provocate, indotte, coltivate, utilizzate: «(…) l’amore del quale tu [Padre] mi hai amato sia in loro, e io in loro». La preghiera di Gesù riconduce l’unità dei credenti all’«osservanza» (v. 6) della parola degli apostoli: osservanza per amore, come esperienza d’amore. Soltanto gli apostoli, infatti, ebbero dal Signore stesso la promessa di essere ispirati-da-Dio in tutta la verità, in tutti gli aspetti delle cose che Dio ha voluto rivelare in Gesù. Consideriamo, infatti, che nella narrazione giovannea questa supplica viene preceduta da un lungo discorso a tavola di Gesù con i dodici nel corso dell’ultima cena pasquale. Egli li incoraggia in ogni modo: «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!». Il Signore non nasconde loro che persecuzioni e tribolazioni seguiranno, ma indica pure nell’amore – adesione pratica completa e lieta ai consigli suoi – la via della gioia nonostante le sofferenze. Li richiama al senso del loro amore verso di lui, e promette loro «un altro consolatore, […] lo Spirito della verità». Ecco infatti la promessa rivolta agli apostoli, promessa specifica e speciale: Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà. (Giovanni 16,12 s.) Una meraviglia da apprendisti doveva caratterizzare in quei momenti l’atteggiamento mentale dei dodici di fronte ai discorsi di Gesù e agli eventi che di lì a poco dovevano seguire; uno stupore che li rendeva tuttora inadeguati alle «molte cose» che il Signore doveva ancora dire loro. Ma il suo magistero non si sarebbe esaurito con la sua dipartita, né alcuna delle «molte cose» sarebbe stata dimenticata o trascurata, in modo da rendere necessari futuri sviluppi dell’insegnamento o nuove rivelazioni posposte lungo il volgere dei secoli: nulla di tutto ciò, infatti, viene annunciato agli apostoli. Gesù, invece, garantisce la venuta del suo vicario, il Consolatore ineffabile che avrebbe insegnato, rammentato, guidato: ad una tale Scuola, amorevole e precisa, gli apostoli sarebbero stati ispirati «in tutta la verità», guidati in «tutte le cose» del Padre, che sono pure le cose del Santo di Dio. Leggere le parole degli scritti apostolici del Nuovo Testamento è leggere quel magistero intelligente, intelligibile, verace. Ascoltare i consigli apostolici presentati nel Nuovo Testamento è ascoltare quel vicario buono, unico, insostituibile. Se ci si domanda quale fosse il grado di consapevolezza con cui gli apostoli scrissero i princìpi fondanti per la vita dei credenti, non è difficile rinvenire risposte nelle pieghe della loro narrazione o in quelle brevi, preziose frazioni sospensive del ragionamento, là dove lo scrittore stimola la sensibilità del lettore o entra in aperto conflitto polemico con i suoi contraddittori per attestare l’ispirazione divina del dato scritto. Giovanni non spalanca la porta alla ridda di tradizioni spurie quando, con un’iperbole, accenna alla quantità di cose fatte da Gesù le quali, se si scrivessero una ad una, «il mondo intero non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero». Al contrario, l’apostolo conosce bene la necessità e sufficienza di quanto egli stesso sta mettendo nero su bianco. Infatti poco prima scrive: Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; ma questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome. (Giovanni 20,30 s.) Una volta forniti per scritto gli elementi fondanti della fede, il resto – fosse pure costituito da altri fatti inerenti la vita di Cristo – risulta superfluo al fine di suscitare fede e vita nel «nome» (= persona) di Cristo Gesù. Paolo comprende bene l’importanza del proprio scritto, perciò, in polemica con certi spirituali del tempo, scrive: «Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore». Pietro stesso si impegna a ricordare determinate cose ai credenti attraverso un proprio scritto: «Perciò avrò cura di ricordarvi continuamente queste cose, benché le conosciate e siate saldi nella verità che è presso di voi. E ritengo che sia giusto, finché sono in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni. (…) Ma mi impegnerò affinché dopo la mia partenza abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose». Dunque è proprio nelle Scritture del Nuovo Testamento che troviamo tutta la verità, tutte le cose del Padre sulle quali e per le quali i credenti di ogni tempo e luogo possono lavorare per fondare la loro fiducia operosa e quindi la loro unità nel Signore. Un esempio di questo fondarsi sicuro sull’autorevolezza degli scritti apostolici, lo troviamo nella comunità di Efeso. Quando Paolo esorta la chiesa a rimanere unita sotto la guida dei propri anziani – nel Nuovo Testamento il termine anziani è sinonimo di vescovi, pastori – è evidente che questa unità deve essere radicata nel «consiglio di Dio» che l’apostolo ha in precedenza predicato ad Efeso. Ecco la narrazione di Luca: Da Mileto [Paolo] mandò a Efeso a far chiamare gli anziani della chiesa. Quando giunsero da lui, disse loro: «Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà (…). E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno, non vedrete più la mia faccia. Perciò io dichiaro quest’oggi di essere puro del sangue di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata col proprio sangue.». (Atti 20,17. 26 ss.) L’organizzazione della chiesa presentata nel Vangelo è snella, non prevede le grosse strutture costituitesi nel corso dei secoli in seno al cristianesimo. Nel suo commento alla lettera a Tito, Girolamo (347-420 ca.) ricorda l’originaria parità tra vescovo e presbitero: Guardiamo diligentemente quello che l’apostolo dice; ti ho lasciato perché tu abbia a scegliere nella città dei presbiteri. Quale presbitero debba poi essere ordinato, lo dice nella parte seguente scrivendo: Se ve n’è uno che sia irreprensibile, marito di una sola moglie… eccetera. Poi aggiunge: bisogna infatti che il vescovo sia senza crimine, come economo di Dio. Perciò è presbitero colui che è anche vescovo. Prima che per istinto diabolico si creassero delle fazioni e si dicesse al popolo: Io sono di Paolo, io di Apollo, io di Cefa (1 Corinzi 1, 12), le chiese erano governate dalla comune deliberazione dei presbiteri della chiesa. Dopo che ognuno credette suoi e non di Cristo coloro che egli aveva battezzato, si decise in tutta la Chiesa che uno dei presbiteri fosse eletto e sovrapposto agli altri, in modo che a lui fosse affidata la cura di tutta la chiesa e si avesse così a togliere il seme degli scismi. Chiunque pensasse che questo non è il pensiero della Scrittura, ma una mia opinione identificante il vescovo con il presbitero, i cui due nomi indicano rispettivamente l’ufficio o l’età, rilegga le parole dell’apostolo ai Filippesi: Paolo e Timoteo, servi di Gesù Cristo, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono in Filippi con i vescovi e i diaconi, a voi grazia e pace (Filippesi 1,1). Presso i cristiani di epoca apostolica o sub-apostolica ogni comunità locale, guidata dal collegio dei propri vescovi/anziani, riconosceva in realtà un solo capo dotato di «primato in ogni cosa»: Egli [Gesù] è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili (…), tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. (Colossesi 1,15 ss.) Attraverso la parola apostolica, Gesù guidava (guida) i credenti affinché la società risentisse (risenta) dell’influsso positivo del Vangelo. Quelle prime comunità furono davvero «luce del mondo e sale della terra»: non soltanto esse non misero «la lampada sotto il tavolo», ma – prive di strutture e organismi ecclesiastici – operarono collaborando al fine primario che il Signore aveva loro dato, annunciare il Vangelo con la vita e la parola. Scrive infatti l’apostolo: E voi, che un tempo eravate estranei e nemici a causa dei vostri pensieri e delle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte, per farvi comparire davanti a sé santi, senza difetto e irreprensibili, se appunto perseverate nella fede, fondati e saldi e senza lasciarvi smuovere dalla speranza del vangelo che avete ascoltato, il quale è stato predicato a ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato servitore. (Colossesi 1,21 ss.) Cristo Gesù unisce Se, specificando ulteriormente la nostra domanda sull’unità, ci chiediamo quali furono – e quali potrebbero essere tuttora – i fondamenti dell’unità in Cristo, la risposta può trovarsi in una lettera scritta da Paolo apostolo alla comunità efesina. Eccone un brano particolarmente intenso nel quale l’unità umile, proposta da Cristo, è costituita da sette unità elementari unificanti: Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. Vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti. (Efesini 4,1 ss.) Ritroviamo qui la realtà della vocazione/chiamata, già veduta in Isaia, rivolta ai «gentili» (le genti), cioè agli «stranieri, chiamati incirconcisi» dagli ebrei. C’è una dignità della chiamata che va salvaguardata con sforzo personale e vicendevole fatto di umiltà, dolcezza, pazienza, amorevole sopportazione, pace. Sono questi i tendini che vincolano il «corpo» (chiesa) all’unità. Reciderli significa comportarsi in modo indegno della chiamata del Vangelo. IL PRIMO ELEMENTO AGGLOMERANTE È IL FATTO CHE VI SIA «UN SOLO CORPO» DI CRISTO. Vi è un solo popolo del Signore, vi è una chiesa soltanto. Nel corso del tempo, i cristiani faranno del tutto per disubbidire in vario modo a questa realtà: creeranno chiese e chiesuole, costituiranno conventicole e gruppi, stabiliranno ordini e congregazioni, attiveranno confraternite e denominazioni, istituiranno sètte e confederazioni religiose… La realtà non superficiale è: «Il Signore conosce [in senso profondo, completo] quelli che sono suoi». Non a caso il contesto di questo brano presenta le inutili dispute parolaie e le deviazioni dalla verità, in contrapposizione alla parola di verità rettamente proposta in un «utile servizio al padrone». Il corpo unico che ha per membra i credenti sarà costituito da quei pochi, o da quei molti, che preferiranno la vergogna di Cristo al plauso del mondo: «Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro», lì dove l’autorità autorevole del Cristo è rispettata. La storia ha designato uomini come capi di chiese: re, successori, predecessori, potenti. Dietro gli epocali problemi dottrinali – come dietro le questioni più modeste e provinciali – che hanno diviso e sconvolto, spesso vi è stata la carenza patologica di umiltà, l’assenza di mansuetudine, la latitanza di pazienza e di amorevole sopportazione gli uni verso gli altri, l’assenza di verità, la brama di potere, il culto dell’invidia: sono questi i problemi da affrontare, discutere e risolvere, senza trascurare quelli. Il capo nobile dell’unica chiesa è stato sempre, e sarà sempre, il Cristo; né capi umani possono renderlo visibile, né vicari umani possono farne le veci. L’unità dei credenti non necessita dei primi, non si affida ai secondi. Il capo unico del corpo unico è un Altro. IL SECONDO FULCRO UNIFICANTE È «IL SOLO SPIRITO». Vi è davvero uno Spirito unico in grado di raccogliere attorno a Sé i credenti, e questo può essere solo lo Spirito del Risorto. Infatti la chiesa è un edificio spirituale progettato e realizzato secondo un design antico: Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito. (Efesini 2,21 s.) Soltanto questo è Spirito di verità. Soltanto lo Spirito della vita libera dal male. Gesù osa dire ad alcuni credenti: «Voi conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi»: liberi da una mentalità sbagliata, da un modo errato di impostare la vita e di soppesarne i valori; in altre parole la verità vi libererà dal male di cui siete schiavi. I suoi troppo nobili interlocutori si offendono, lo prendono per pazzo, cercano di ucciderlo. Eppure proprio questo attesta lo Spirito del Vivente che invita i credenti a cambiare mentalità. Quando la chiesa/sposa di Cristo è docile alla Parola, ecco che le sue espressioni di invito si accordano con lo Spirito del suo Signore: Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati quelli che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! (…). Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda dell’acqua della vita. (Apocalisse 22, 17) Perché mai i credenti dovrebbero anelare a spiriti diversi per ottenere la libertà dal male? Perché mai farci distrarre da altri spiriti che, per quanto alti e nobili, sono pur sempre umani, spiriti di creature, come noi stessi: spiriti di defunti, spiriti di viventi, spiriti elevati da altri uomini, spiriti riconosciuti ed esaltati nel mondo, ma pur sempre bisognosi essi stessi dell’unico Spirito. Perché mai ricercare altri spiriti quando «la porta» che conduce all’unico Spirito è perpetuamente spalancata dinanzi a ciascuno: la Sua parola è limpida, il Suo messaggio aperto, la Sua volontà svelata: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. (…) Venite a me, voi tutti che siete affamati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero. (Matteo 11, 25 ss.) È soltanto quest’unico Spirito che deve permeare la vita dei credenti. Egli è, anzi, la vita stessa della comunità. La Parola sua è tuttora «lampada al mio piede»; l’apostolo ricorda che «tutta la Scrittura è ispirata-da-Dio, e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona». I CREDENTI SONO PURE UNITI IN «UNA SOLA SPERANZA». La speranza cui sono chiamati è speranza di vita col Signore. L’apostolo scrive ai cristiani dell’Asia Minore: Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la resurrezione di Gesù dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.(1 Pietro 1, 3) Il credente è «salvato in speranza». Persino le «sofferenze del tempo attuale» – gravi, inaccettabili, vergognose, scandalose, contro le quali il credente si batte qui e ora – sono imparagonabili rispetto alla speranza di libertà dalla corruzione; speranza di liberazione dalla vanità che avvolge ogni cosa, gli affetti più saldi come gli odii più antichi; speranza di adozione completa dei credenti; speranza riposta nello Spirito del Risorto affinché venga in aiuto alla incredulità nostra; speranza in un inseparabile amore di Dio, al di là della morte e della vita, al di là del presente e del futuro. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza. (Romani 8,24 s.) Quando davvero si spera qualcosa non ci si lascia distrarre, ma si agisce per ottenerla. L’oggetto ultimo della speranza del cristiano è la vita spirituale con il Padre, è l’abbraccio di Dio, è il giorno in cui «Dio sarà tutto in tutti». Chi coltiva tale speranza non si lascia abbagliare da cristiane chimere materialistiche, ben sapendo che questo mondo non è la meta finale del credente. Ma prima che la fiducia sperante naufraghi dolce nel mare dell’Amore, Dio rende forti qui e ora le braccia di quanti partecipano con generosità all’opera Sua, braccia consapevoli che la fatica dei credenti non è vana «nel Signore». «VI È UN SOLO SIGNORE»: ECCO IL QUARTO ELEMENTO UNIFICANTE. Se il termine Signore non fosse oggi di uso comune, forse lo si riuscirebbe ancora a pronunciare con un certo timore sul labbro e una qualche consapevolezza nel cuore. I cristiani sono tutti fratelli. I cristiani sono anche tutti, proprio tutti, servi – ma bisognerebbe dire schiavi – di un unico «Signore». Non a caso Pietro conclude quel suo discorso, nel giorno della pentecoste ebraica dopo la resurrezione, con parole alte ma accusatorie: «Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele che Dio ha fatto e Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso». La persona consapevole del proprio errore, se ne ravvede, e si mette a servire Cristo. Occorre comprendere meglio il senso della vita del credente, che sta tutto nel servizio verso il prossimo, dentro e fuori la comunità dei credenti. È il prossimo infatti la sola immagine, l’unica somiglianza vivente, che il Signore ha lasciato di sé: «(…) ciò che avrete fatto a uno di questi minimi lo avrete fatto a me». È Dio stesso che fa di Gesù il Signore: qui e oggi. E ciò per un motivo buono e fondante: Lui solo è il crocifisso-e-risorto. Non il crocifisso, come vuole la nostra consolidata mentalità religiosa, bensì il crocifisso-e-risorto. Quindi il Vivente Figlio del Dio della Vita; il Signore: che fu crocifisso, ma che oggi e sempre è vivente. Dunque: non il fu Gesù Nazareno, ligneo crocifisso, bensì colui che è, vivo e perfettamente in grado a tutt’oggi di esercitare la propria Signoria. Egli infatti è in grado di dire la sua con autorità autorevole, consigliare, persuadere, insegnare, ragionare, ammonire, rimproverare, correggere, educare, ordinare, sollevare eccezioni, discutere, far progredire sulla via della spiritualità la persona che si forma alla luce di una mentalità affatto nuova, quella del Risorto: Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la resurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo nostro Signore (…), a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati ad essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo». (Romani 1, 1) Quale altro signore può vantare una dichiarazione altrettanto alta e potente? E, persino prescindendo dalla resurrezione, chi osò umiliarsi fino a una morte tanto vergognosa quanto immeritata? Se non tramite Lui, con l’aiuto di chi potremo davvero compiere il nostro «essere santi»? Purtroppo, sembra che nomi da sostituire o affiancare a quello di Cristo Gesù non manchino, anzi se ne aggiungono continuamente di nuovi. Si dice che non si tratta di veri e propri sostituti; e tuttavia ci si propongono apertamente altri mediatori fra noi e il Padre. Il Vangelo dell’unico Signore è il Documento che attesta una realtà fondante per la fiducia del singolo e per l’unità della fede dei credenti: Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità. Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti. (1 Timoteo 2,1 ss.) Con quale rispetto verso Cristo potremo rivolgerci ad altri signori, mediatori, intercessori i quali, per quanto buoni e lodevoli, non hanno dato se stessi come prezzo per riscattarci dal male? Se davvero vogliamo avere vita e nutrire speranza di salvezza, a chi mai ci affideremo se non a Colui che è Signore unico? VI È «UNA SOLA FEDE» CHE RENDE I CREDENTI «UNO» IN CRISTO GESÙ. La fiducia di fondo che sostiene Gesù durante le tentazioni; la fiducia che gli consente di sfuggire alla folla adirata di compaesani che lo vogliono precipitare dalla rupe di Nazaret; la confidenza solare che Egli mostra nel Padre prima di chiamare Lazzaro fuori dalla tomba; la fede che Lo sorregge anche quando grida: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; l’affidamento con cui muore: «Padre, in te rimetto il mio spirito»; questa fiducia il credente continua a ricercare, da questa fiducia è attirato come la limatura di ferro è attirata dalla calamita. Il consiglio di Cristo non consente l’adagiarsi sugli allori di una fede (oggetto) trovata, né l’atteggiamento egoistico e privatistico di chi ritiene d’aver salvato l’anima propria. «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto», ma cessare la ricerca è illudersi d’aver trovato, smettere di picchiare è assuefarsi al carcere. Questa fede fiduciosa non può certo essere la fede che calunnia, maligna, invidia, odia, perseguita, brucia, uccide in nome di Cristo; essa è piuttosto quella che sgorga – minuscola ma bastevole; delicata ma fatta d’acciaio smaltato; umile ma consapevole – dalla Parola di Cristo: Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunzi? E come annunzieranno se non sono mandati? Com’è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone notizie!» Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?» Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla Parola di Cristo. (Romani 10,14 ss.) Predicare, o scrivere, «con i piedi» è per noi espressione di biasimo. Soltanto un ebreo arguto poteva lodare la bellezza dei «piedi» del messaggero di buone nuove! Una fede sola: quella che può essere provocata dalle notizie buone concernenti una salvezza senza precedenti: salute unilateralmente concessa, sovrabbondantemente estesa a ogni singolo essere creato; salvezza gratuita, come pioggia che scrosci sopra malvagi e buoni, come sole che scaldi gli uni e gli altri. La notizia buona di una grazia mai prima donata: regalo libero, affettuoso, rischioso, come dono d’Amore verace. Sì, rischioso, perché la risposta della persona a un tale regalo può essere la fiducia più disarmata e disarmante, oppure, nella trincea opposta, la negazione più radicale. Eppure le risposte peggiori giacciono nella terra di nessuno: la fede finta, la fede interessata, la fede di una coscienza chiusa, la fede che ignora, la fede bigotta, la fede subdola, la fede che teme la verifica seria, la fede ricevuta supinamente e non personalmente conquistata, la fede contenta di religiose astrattezze, la fede che si compiace delle proprie opere, la fede che basta a se stessa e dimentica che persino Satana crede e trema, la fede pigra, la fede presuntuosa che ignora il grado della propria incredulità e non implora aiuto, la fede esteriore, la grande fede!, la fede priva di carità, la fede impaziente, la fede malevola, la fede invidiosa, la fede vanitosa, la fede incapace di soffrire, la fede sospettosa, la fede intollerante, la fede irrispettosa verso il prossimo, la fede che non concede neppure per un attimo all’avversario la dignità del suo pensiero, la fede che impone la fede, la fede che calcola e accampa meriti, la fede logorroica, la fede stolta della fedeltà piena di sé stessa, la fede che necessita di nemici per esprimersi, la fede dei paladini-della-fede, la fede priva di discrezione, la fede che sceglie sempre la strada più facile e larga per agire. La notizia buona (evangelo) è sì madre della fiducia, ma per procreare necessita di «cuori» inclini a farsi amare e a riamare, e di menti agguerrite per «discutere» con Dio, come predica Isaia: Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova! «Poi venite e discutiamo», dice il Signore: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana. (Isaia 1,16 ss.) Fede unica è pure quella di cui scrive Giuda, «servo di Gesù Cristo e fratello di Giacomo»: Carissimi, avendo un gran desiderio di scrivervi della nostra comune salvezza, mi sono trovato costretto a farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi [i credenti] una volta per sempre». (Giuda v. 3) L’epistola di Giuda è in realtà un breve biglietto. Ci si imbatte qui, di nuovo, in un contesto che descrive con preoccupazione gli infiltrati, gli sprezzanti, i superbi, i pessimi esempi, gli arroganti, «quelli che provocano le divisioni». L’amore di verità, la fede unica, non se ne sta affatto impotente verso tali provocazioni. I credenti rispondano a situazioni minacciose con la preghiera che sa lottare, edificando se stessi sulla «santissima fede», quella, appunto, che è stata «trasmessa una volta per sempre» nel magistero degli scritti degli apostoli. Divisioni e settarismi sono purtroppo fiori d’assenzio in campi che hanno veduto, troppo spesso, battaglie tra ignoranti, guerre fratricide in cui il problema dottrinale profondo è, troppo spesso, la spiccata presunzione degli antagonisti, tutti tesi, come scriveva George Eliot (1819-1880), al trionfo del «partito nostro». Occorre, invece, lavoro umile e dedizione umile per eliminare la nostra ignoranza, studiando, esaminando bene «quale sia» la volontà del Signore. Attraverso lo studio umile della Parola vanno scrostate, gradualmente, inesorabilmente, l’ignoranza e l’incoerenza della mente dell’uomo, come esorta Pietro: Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace; e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili traviano a loro perdizione, come anche le altre Scritture. (2 Pietro 3,14 ss.) Si inizia in genere col distorcere, anche senza volere, brani «difficili» delle Scritture, costruendo sistemi, elaborando metodi che poi, per essere difesi, indurranno fatalmente a traviare anche le «altre Scritture», cioè le più semplici, alla superficie delle quali sono le verità fondamentali del cristianesimo genuino (Agostino). Ogni generazione di credenti dovrebbe invece riesaminare attentamente, per proprio conto, le Scritture, riconsiderando i risultati raggiunti dalle generazioni precedenti, e studiando di nuovo, con scrupolo, ogni cosa, per riscoprire e riproporre la bellezza della fede fiduciosa. VI È «UN SOLO BATTESIMO». Si tratta per il credente di un’esperienza profonda, «memorabile» come «non può fare nessuna esortazione che ricordi ad uno d’essere stato bagnato con acqua quand’era bimbo». Il battesimo è lavacro di rigenerazione spirituale; è circoncisione spirituale; è preghiera segreta che domanda a Dio nel segreto una coscienza buona; è morte dell’uomo vecchio – affogamento dell’orgoglio – e rinascita di una persona diversa, desiderosa di vivere per gli altri, guidata da Cristo e non più dalla propria mentalità egoistica. L’uomo vecchio muore. Il morto lo si seppellisce in un sepolcro d’acqua – il battesimo, appunto – dal quale la persona esce per vivere una vita ad imitazione del Signore: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me», dirà Paolo. Questa non è pia illusione né retorica da pulpito. Di fatto la vita quotidiana può esser vissuta dal cristiano facendo «ogni cosa nel nome del Signore», cioè in armonia con il suo Consiglio e ringraziando Dio per mezzo di Cristo. Anni fa, a Roma, entrai in San Paolo fuori le Mura passando dall’ingresso posteriore, sulla via Ostiense. Mi fermai ad ammirare un luogo che il turista distratto neglige, il battistero risalente alla prima metà del quarto secolo: la pianta regolare, il biancore nudo delle colonne, i mosaici scarni del pavimento, i gradini ben disegnati che consentivano al battezzando di entrare nell’acqua della vasca ampia per esservi immerso; in alto, tutt’intorno, i caratteri cubitali latini del brano classico – ma ignorato, purtroppo – di Paolo apostolo: Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. (Romani 6, 4 s.) Il battesimo è segno intimo, unico: unico per il suo genere, unico per scopo, unico per significato, unico per acqua e Spirito che in esso si coniugano. È il parto unico che mi fa rinascere a vita nuova in Cristo. È la risposta unica all’invito di Dio. È l’ubbidienza a una Parola formulata con un Alfabeto raro, compreso tra l’Alfa e l’Omega della Vita. Peccato che proprio al centro dell’antico battistero della basilica sia stato eretto molto più tardi un fonte battesimale in marmo bianco utilizzato oggi per l’infusione amministrata ad infanti: un corpo estraneo che deturpa l’estetica dell’architettura cristiana, lineare e antica, non meno che la verità originaria del battesimo. È malinconico notare come nel cuore di questa basilica sia conservato un elemento di verità cristiana che, nel tempo, è stato purtroppo tralasciato, ma che per i primi credenti era un cardine della loro unità. La mutazione – o mutilazione – appare significativa. Oggi l’ideale centro architettonico della basilica è costituito dalla monumentale tomba di Paolo, in cui riposerebbero le sue ossa. Per i primi cristiani era invece il battistero il centro vitale della comunità e della comunione spirituale che li univa alla vita in Cristo! E così dovrebbe essere ancor oggi. Nel battesimo, infatti, la persona consapevole dei propri errori e mancanze, sceglie di morire e vuole farsi seppellire in un sepolcro d’acqua; chiede di morire con Cristo, per poi rinascere e vivere in Cristo. Questo era, e tuttora è, per i credenti il battesimo che innesta alla Vita: Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. (1 Corinzi 12, 12 s.) Quale genere di persone, diciassette secoli or sono, viaggiava sulla via Ostiense fermandosi presso quel battistero per fare il culto con altri credenti? Ogni sorta di uomini e donne: mercanti diretti a Roma o all’ostium, cioè al porto, contadine delle zone limitrofe, liberi, schiavi, ebrei, pagani. Fra essi era forse il proprietario dell’agenzia di trasporti marittimi la cui insegna in mosaico bianco e grigio si può tuttora ammirare ad Ostia Antica; oppure lo schiavo che, dalla piccola finestra posta sopra l’ingresso del negozio, stava di vedetta contro il ladro. Persone così si abbeveravano dello Spirito di Gesù, desiderosi di cibarsi della Parola che poteva guidarli attraverso la vita. Più tardi, avendo trascurato di succhiare quella Parola, i credenti hanno spesso mutato il significato e l’atto battesimale, alterando la semplicità del gesto umile e alto insieme. Eppure, quel battesimo unico, attuato con coscienza, conserva integro il gusto di inizio alla vita nell’affetto del Signore della vita. Battezzarsi oggi, morire oggi con Cristo, per vivere in Lui, per non morire mai più. VI È «UN SOLO DIO»: PADRE DI TUTTI, CHE È AL DI SOPRA DI TUTTI, FRA TUTTI E IN TUTTI. È l’Iddio di Abrahamo e di Sara, l’Iddio di Isacco e di Rebecca, l’Iddio di Giacobbe e di Rachele, l’Iddio di Boaz e di Ruth, l’Iddio di Mosè e di Sefora… È l’Iddio dei profeti, da Samuele a Elia, da Isaia a Geremia, fino a Malachia. È l’Iddio di Giuseppe e di Maria. È l’Iddio del vecchio Simeone e della ottuagenaria vedova Anna. È l’Iddio del giovane Giovanni Battista. È l’Iddio che incontro in Gesù/Emmanuele, il quale è Dio-con-te e Dio-con-me, Dio-con-noi, se sappiamo d’essere poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. È l’Iddio nel quale «viviamo, ci muoviamo, esistiamo». Eppure, paradossalmente, forse siamo così immersi in Lui da far fatica a vederLo; e facilissimamente ignoriamo il Dio ignoto, Lo perdiamo di vista, guardiamo altrove: altrove invece che a Cristo, altrove invece che alla Parola sua, altrove invece che al prossimo fatto a immagine sua, altrove invece che allo Spirito suo, altrove invece che all’Affetto suo, altrove invece che alla Verità che è in Lui, altrove invece che alla Vita che Lui solo può donare. Ci volgiamo ad altre divinità. Divinizziamo creature e oggetti, facendone i nostri dèi noti – ma sordomuti – dimenticando la realtà profonda dei fatti: Poiché, sebbene vi siano dei cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e molti signori, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo. (1 Corinzi 8,5 s.) Il credente che si affida al «Padre di tutti», fa propria la lode e l’espressione di gratitudine che l’apostolo rivolge a Dio proprio al principio della lettera alla chiesa di Efeso: Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. (...). In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d’intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. (Efesini 1,3 ss.) «Ma il vostro parlare sia: “Sì, sì”; “no, no”; poiché il di più viene dal maligno» (Matteo 5,37) L’unità in Cristo dei credenti – nella comunità locale, tra le chiese locali – è attuabile a patto di riscavarne, con fatica umile, la motivazione profondissima e altissima: Ora fratelli, vi esorto, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad avere tutti un medesimo parlare e a non avere divisioni tra di voi, ma a stare perfettamente uniti nel medesimo modo di pensare e di sentire. Infatti, fratelli miei, mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che tra di voi ci sono contese. Voglio dire che ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io d’Apollo»; «Io di Cefa»; «io di Cristo». Cristo è forse diviso? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete voi stati battezzati nel nome di Paolo? (1 Corinzi 1, 10 ss.) A fronte di tanta limpidezza apostolica, risulta incomprensibile – o meglio, assurdo – che i credenti si siano adoperati nel corso dei secoli per stabilire talune forme di unione attorno a nomi e personaggi. Si parla anche oggi di cristiani uniti intorno a Pietro. E poi, purtroppo, di nomi infinitamente inferiori a quello di Pietro, se ne sono trovati davvero tanti, per costruirvi attorno magari un partitino. E che dire della domanda sul primato: non è forse tuttora un’esigenza per molti, invece d’essere superata nel «servizio» e nella «fatica» per l’opera del Signore? Alla incalzante retorica di Paolo si può ancora rispondere con la fermezza umile della fiducia, antica eppur nuova, che conosce il Sì alla Speranza, il Sì al Signore, il Sì al Padre, il Sì allo Spirito di Vita. Ma anche il No alla inumana vivisezione del corpo. No, Cristo non è diviso: anche quando noi cristiani impazziamo provocando settarismi e divisioni per amore di supponenza, presunzione, tradizione. No, Paolo non è stato crocifisso per noi: né lo sono stati coloro che si sono preposti o sono stati preposti quali sublimi esempi, celesti immagini, proclamatori eccelsi. Uno è il Santo di Dio. No, noi non siamo stati battezzati nel nome di Pietro: altro è il battesimo e altro il Nome che impreziosisce la conversione biblica: [Gesù Cristo] è “la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, / ed è divenuta la pietra angolare”. In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati. (Pietro in Atti 4,11 s.) Il «No» del principio biblico di esclusione non è meno serio della patologia, ma può rivelarsi l’unica terapia cauterizzante che restituisca salute al corpo. L’unità dei credenti per la quale pregò Gesù non è né petrina né paolina, essendo Pietro e Paolo servi di una causa ben più alta di se stessi. Oltre a lavorare per l’unità, si può aggiungere una nostra preghiera flebile alla intercessione potente di Gesù: le pretese che provocano divisione e settarismo non sussistano; i nomi altisonanti decadano; i primati considerino che essi saranno resi ultimi; l’unità in Cristo, umile e alta, si sviluppi tra i credenti, per non mancare nell’amore per il servizio reso al prossimo nel testimoniare il Vangelo con semplicità, senza orpelli né altri mezzi attrattivi al di fuori della Parola potente del Cristo (Romani 1,16). Unità santa nella verità (Giovanni 17,17). È, questa, una proposta modesta affinché si torni alla semplicità di Cristo Gesù nel Vangelo. Ne abbiamo bisogno tutti: chi ha abbandonato il corpo di Cristo per seguire le vie contorte dell’immaginazione umana; chi ha gettato via la grazia di Dio disertando «il radunarci assieme di noi stessi» ; chi ha dimenticato la riconciliazione in Cristo per riconciliarsi col mondo; chi si fa condurre da uno spirito «diverso» e segue un vangelo «diverso» da quello proposto dallo Spirito del Signore che dimora nella chiesa del Signore (Galati 1,6 ss.; Efesini 2,22). L’aritmetica del Vangelo deve suonare ben strana alla nostra povera mentalità telematica; per Cristo, uno più uno fa uno, e mille più mille fa ancora uno. L’unità è il totale finale. Anche se, «amaramente», occorre confessare con umiltà che per ora essa appare soltanto come risultato sperabile, esito al limite. Il cammino verso l’unità, più che essere lastricato di religiose formule diplomatiche, dovrebbe forse essere meglio indicato dalle pietre miliari delle virtù pratiche di persone realmente trasformate interiormente in Dio, convertite a Dio. «Conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace» non è affatto una condizione naturale, bensì un «diligente sforzo» di ciascuno dei credenti. Occorre esprimere atteggiamenti che mostrino adesione piena alla dignità donata dalla preghiera di Cristo e dalla chiamata del Vangelo, il cui magistero tuttora ricorda: Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno, e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo. (2 Pietro 1, 5 ss.) © Riproduzione riservata

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