Riflessioni

GESU E BERGOGLIO

La Parola migliore L’Evangelo (Nuovo Testamento) è riconosciuto da tutti i cristiani – a qualunque confessione appartengano – come il documento fondante della fede in Cristo. Senza tale documento, privi di tale parola ultima di Dio (Ebrei 1,1 ss.), non sarebbe possibile sapere né dire nulla di Gesù. Annunciare l’Evangelo nella sua integrità è dunque la missione eccellente affidata da Lui ai discepoli di ogni epoca e luogo (Atti 1,8). Dispiace, perciò, dover rilevare nell’attuale presentazione dell’Evangelo talune incongruenze che preoccupano non pochi credenti. Giorni fa, nel corso dell’Apertura del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma, papa Bergoglio, trattando del rapporto di Gesù con il peccato e con i peccatori, così affermava: “Gesù è quello che si è sporcato di più le mani. Gesù è quello che si è sporcato di più. Gesù non era un pulito... Prendeva la gente com’era, non come doveva essere”. È questo un parlare insolito e sorprendente, al quale del resto papa Bergoglio ci ha abituato e che fa felici quanti ritengono di percepire in esso un’aria nuova, una volontà di cambiamento, anche se al momento non sembra facile dire verso dove spiri quest’aria né quali mutamenti stiano per avvenire. È giusto esortare tutti ad essere aperti e bendisposti verso i peccatori – perché “tutti siamo peccatori” (Rom. 3,9) – per cercare di aiutarli nelle loro necessità morali spirituali, che possono essere anche le nostre stesse necessità. È bene, quindi, esortare a non restare chiusi in chiesa e come barricati in una sicurezza spirituale, talvolta ipocrita, e in una giustificazione morale, talvolta concessa da noi a noi stessi, lontani dalla realtà talvolta positiva, talaltra immorale o amorale, della società. Tutto ciò è giusto, perché Gesù stesso è venuto proprio “per cercare e salvare ciò che era [spiritualmente] morto” (Lc. 19,10). Gesù ama il peccatore, ne odia solo il peccato (Mc. 10,21). Infelice appare, invece, l’affermazione che Gesù “non era un pulito”. Certo, non era un ipocrita che guardava gli altri dall’alto della sua impeccabilità e sapienza, come il noto fariseo della parabola (Lc. 18,11). Ma è bene considerare che l’Evangelo presenta Gesù come colui che “è stato tentato come noi, però senza peccare” (Eb. 4,15). Gesù dunque era pulito, tanto che Giovanni il Battista può salutarlo come “Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv. 1,29 e 3,16). Ben strana suona poi l’affermazione di Bergoglio che Gesù “prendeva la gente com’era, non come doveva essere”. Stando all’Evangelo, non sembra proprio così. Gesù infatti incontra il ladro Zaccheo e lo trasforma: Zaccheo dona la metà dei suoi beni ai poveri e restituisce il quadruplo a chi aveva frodato. Alla Samaritana Gesù dice con nobile dolcezza, ma chiaro e tondo, che lei, dopo i suoi cinque mariti, è ora accompagnata con uno che “non è suo marito” (Gv. 4,18). Al giovane ricco, che gli chiede che cosa gli manchi ancora per ereditare la vita eterna, Gesù dice di vendere ciò che possiede e di darlo ai poveri, per avere un tesoro nei cieli, e poi di seguire il Signore (Mt. 19,16 ss.: il giovane non lo ascolta, e se ne va; Gesù non lo trattiene). Al fariseo Nicodemo – che riconosce in Gesù “un dottore venuto da Dio”, come dimostrano i “segni” che attua – Gesù stesso fa fare la figura dello studente impreparato quando gli dice “Tu sei il dottore d’Israele e non sai” come si fa per entrare nel regno di Dio (Gv. 3,1 ss.)? Questi esempi evidenziano che Gesù dice con dolcezza e amore al peccatore esattamente “come deve essere”. Anzi, glielo dice anche a costo di perdere il contatto col peccatore stesso – come accade col giovane ricco. Forse un tale parola amorevole e schietta sarebbe scorretta oggi? Non è forse vero che nel predicare, pur di non perdere una persona in chiesa, si preferisce talvolta tacere o adottare un linguaggio accattivante e lusinghiero, piuttosto che dire semplicemente la verità con amore e per amore del peccatore? Forse nella realtà sociale e religiosa attuale non si può più dire al disonesto ciò che deve fare, non si può più dire al fornicatore che deve smetterla, né si può più dire all’egoista come si fa per essere “ricchi in vista di Dio” (Lc. 12,21)? Forse non si può più dire, con amore e sensibilità, che occorre entrare nel regno di Dio sia attraverso la “nuova nascita” sia attraverso “molte tribolazioni” (Gv. 3,3 e Atti 14,22)? Gesù, in modo sublime, adotta vari registri per dire al peccatore proprio “come deve essere”. Papa Bergoglio ha poi fatto riferimento alla donna colta in adulterio e condotta davanti a Gesù per essere lapidata, come prescriveva la legge di Mosè (Gv. 8,1 ss.). Gesù dapprima tace, non risponde alle accuse dei giudei contro di lei. Bergoglio dice che “Gesù fa un po’ lo scemo”, perché si mette a scrivere in terra e non risponde. Poi emette il famoso “chi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. La frase è un colpo di fucile che azzittisce tutti gli accusatori, perché “li riprende nella loro coscienza” (Gv. 8,9: anche qui Gesù dice ai peccatori “come devono essere”). A questo punto, quando nessuno osa più condannare la donna, Gesù le dice che neppure lui la condanna. Di qui Bergoglio trae la conclusione che “Gesù manca... ha mancato la morale... Questo ci fa pensare che non si può parlare di rigidità, di sicurezza della morale, di essere matematici nella morale come la morale del Vangelo”. Ma tale conclusione è inesatta. Anzitutto, il fatto dell’adultera va letto nel contesto delle numerose sezioni degli Evangeli nelle quali i giudei tendono tranelli a Gesù, cercando di metterlo in contraddizione con la legge mosaica (torà). Ciò spiega forse il momentaneo silenzio riflessivo di Gesù e l’uso sapiente che Giovanni ne fa nella sua narrazione. Tale silenzio ha quindi un suo senso. Bisogna rilevare poi che Bergoglio, per giungere alla sua conclusione, non cita compiutamente tutta l’ultima frase di Gesù alla donna, frase che nella sua interezza così suona: “Neppure io ti condanno; vai e non peccare più” (Gv. 8,11). Gesù quindi dice realmente alla donna peccatrice “come deve essere”, cioè come deve comportarsi in futuro. Gesù non manca affatto la morale, tutt’altro. La sua morale è davvero sicura. Gesù avrebbe mancato la morale se alla donna avesse detto soltanto “neppure io ti condanno” – come ha detto Bergoglio. Invece Gesù, all’amore che non condanna ed è disponibile (non rigido), aggiunge la sua etica precisa e amorevolissima: “Vai e non peccare più”. Forse la realtà attuale rende socialmente e religiosamente (forse anche politicamente) scorretta la Parola completa di Gesù? Non importa, l’Evangelo non teme d’essere scorretto, perché non è ipocrita. L’amore che si sprigiona da Cristo nell’Evangelo non è cieco, ma veggente. La Parola migliore di Gesù riflette come specchio gli errori del peccatore e cerca di correggerli mediante l’aiuto forte di Cristo stesso (Gc. 1,21 ss.). L’Evangelo annunciato è realmente “potenza di Dio” per la salvezza del credente e contro ogni empietà dell’uomo (Rom. 1,15 ss.). Forse questa forza di Cristo, questa potenza di Dio, è oggi meno forte e meno potente? Forse certe cose non si possono più insegnare per timore che molti le ignorino, come già le ignorano? Non importa, ciò dimostra solo la gravità del male e l’estrema necessità della cura completa dell’Evangelo, la quale, per ogni paziente, non consiste solo nell’accogliere umilmente la misericordia di Dio, ma anche nel cambiare, cessando di fare il male per amore di Cristo. Una cessazione dolorosa, che non a caso l’Evangelo definisce “mortificazione” (Rom. 8,13 e 6,11 ss.). Una cessazione che spiega bene perché mai Gesù additi ai discepoli la “porta stretta”, scelta da pochi, ma spalancata alla vita (Mt. 7,14). Ecco la Parola migliore di Gesù: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom. 12,2). Non è l’Evangelo che va adattato ai cambiamenti dell’uomo – del resto più apparenti che reali. È piuttosto la persona che viene esortata a evitare indifferenza e conformismo, immorale o amorale, e a lasciarsi guidare da ciò che “è buono” per il Signore. Come si vede, citare frasi dell’Evangelo a metà non va bene, perché si rischia di alterare la Parola, la quale spiritualmente e moralmente è ben più precisa della matematica. Infatti lo scrittore ispirato da Dio la descrive come “Parola viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non c’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto” (Eb. 4,12 s.). La morale di Gesù è sicura. La sua Parola è la migliore perché penetra, discerne, scruta con sapienza, e mai è relativa. ***** Società dell’apparenza la nostra. Pregiudizi, immoralità, malignità, doppiezze, malanimo, maldicenza spadroneggiano purtroppo in ogni ambiente. Il male divide e impera. Niente di nuovo... se non che, talvolta, anche ai credenti può capitare di cadere nella rete dell’apparenza. Gesù aveva avvertito del pericolo mortale: “Non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate!” (Gv. 7,24; vers. UTET). Una delle molte esortazioni di Gesù dimenticate in nome di un’ipocrita religiosa correttezza. L’apparenza senza discernimento è fango. A non pochi garba sguazzarci dentro. Se si vuol davvero proporre la salvezza in Cristo, occorre ritornare con coraggio al suo esempio e insegnamento, che è il migliore. Fare e dire il bene secondo l’Evangelo è il vero valore da riscoprire. Il peccatore lo si può salvare (sempre che egli lo voglia) con un approccio amorevole, cordiale, disponibile, ma fermo. Cristo non fa il medico pietoso. Egli parla alla mente dei peccatori, ma per trasformarli in persone dalla fede responsabile, che cambino, si convertano a Lui, per iniziare una vita di allegrezza, responsabilità e santità in Dio. Occorre tornare a meditare sulla Parola di Dio, Parola migliore di tutte, per conoscerla, attuarla, e consentire umilmente alla seria misericordia di Dio di salvarci. Coloro che, stanchi di errare per aver confidato nell’uomo, vogliono finalmente imparare ad affidarsi e a confidare nel Signore, devono essere consapevoli che il “regno di Dio” appartiene davvero a Dio, e a lui soltanto. Ritorniamo a lui con fiducia in ogni aspetto della nostra esistenza personale e della vita della comunità che appartiene a lui. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 07 2016

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