Riflessioni

PONTE E FIDUCIA

Il ponte e la fiducia Talvolta occorre una tragedia per tornare a utilizzare il verbo “fidarsi” e per tornare a nutrire “fiducia” Come tutte le grandi tragedie, anche quella del crollo del ponte Morandi, a Genova, può generare sentimenti di abbattimento e sfiducia o, all’opposto, moti interiori di edificazione e fiducia. Per pochissimo, per un banale ritardo di qualche minuto, Monica Lanfranco non è stata coinvolta nel crollo del ponte. Citando una sua conoscente scrive così: “Un ponte unisce due estremi, cuce due lembi, perciò un ponte che crolla è uno strappo in un tessuto che siamo abituati a vedere tutto intero. Lo squarcio si apre sull’abisso: il crollo fa precipitare per metri, il vuoto risucchia, nessuno torna indietro da questo volo. Cadere nel precipizio è una paura atavica, ce l’abbiamo tutti. Un ponte è sempre frutto del sogno visionario di qualcuno. Qualcuno che ha sfidato le leggi della fisica e che ha deciso di superare un limite costruendo qualcosa di unico. Quando il progetto fallisce, nasce il sentimento della disfatta, la sensazione di non aver saputo fare, la paura di dover tornare indietro al tempo in cui nessuno creava ponti e tutti restavano fermi lì dove li piazzava la loro sorte. Attraversare un ponte significa fidarsi di chi l’ha costruito e del soggetto pubblico che se ne occupa. Fiducia” (Il fatto quotidiano, 16.08.2018). È difficile non concordare con questa analisi sensibile, lucida. Come è difficile non considerare che, talvolta, occorre una grande tragedia per tornare a utilizzare il verbo “fidarsi” e, quindi, per tornare a nutrire “fiducia”. Fiducia, nonostante tutto, anche dinanzi all’abisso, dinanzi al volo dal quale nessuno torna indietro. Costruiamo un ponte, qui e ora, un ponte che colleghi la tragedia di Genova, che tutti ci accomuna, alla condizione esistenziale umana. Ciascuno di noi può utilizzare il ponte che unisce due estremi, che cuce due lembi, che aiuta a superare in sicurezza l’abisso che oggi ci separa da un al di là dove riposano i nostri morti e anche quei 38 morti a Genova (ma molti altri sono dispersi). Un ponte è sempre frutto del sogno visionario di qualcuno che ha sfidato le leggi della fisica e ha deciso di superare un limite costruendo qualcosa di unico. Le leggi della fisica dicono che dall’abisso non si torna. Ma il sogno visionario di qualcuno è diventato realtà quando è stato superato il limite umano della morte. QUALCUNO È TORNATO dall’abisso, e POICHÉ È TORNATO ha potuto costruire un ponte sicuro proprio sull’abisso. Costruzione impossibile all’uomo. Ma ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio ha realizzato L’IMPOSSIBILE mediante Gesù Cristo, il quale è stato dichiarato mediatore, cioè “ponte” fra Dio e gli uomini proprio tramite la sua risurrezione. Proprio questo è il momento di dire, affermare e testimoniare che esiste uno e un solo ponte fra noi uomini e Dio, e questo “ponte sicuro” è la persona unica e insostituibile di Cristo. Qui sta la fiducia nella risurrezione di Cristo: ma chi ci crede più che lui sia risorto VERAMENTE? Tutti si affidano ad altri “ponti”, ad altri mediatori, più facili da usare e da controllare, e anche meno esigenti. Se, invece, Cristo Gesù è davvero risorto, allora ciò comporta la totale sfiducia – per incompetenza incapacità inadempienza – verso tutti gli altri “ponti”, tutte le altre mediazioni, le quali crollano miseramente al confronto con la POTENZA E LA REALTÀ della risurrezione di Cristo. È Lui infatti il solo “ponte” vivente. Lui l’unico “ponte” affidabile. Perché mai? Perché è lui solo che l’Evangelo chiama “PRIMIZIA di quelli che dormono” (1 Corinzi, 15). Tutti, nessuno escluso, “dormono”. I morti “dormono”. Il solo vivente, il quale dominando le leggi della fisica ha sconfitto la morte, ha abbandonato la prigione del soggiorno dei morti, l’unico vivente è Cristo. È il solo che può davvero suscitare nella persona umana la “fiducia” in quel Dio che ha costruito un tale “ponte”, cioè la realtà di una tale mediazione unica proprio perché è attuata in Cristo Gesù risorto. L’Architetto dell’universo ha costruito questo “ponte”. Egli stesso lo rende fruibile a tutti. Egli stesso ne cura la manutenzione. Perciò il “ponte” è pienamente affidabile. Il resto non è che rovine, spesso attraenti, talvolta sofisticate, talvolta santificate, ma pur sempre rovine, macerie; morte e vuoto dell’abisso. La parola e il silenzio di Cristo Gesù meritano pertanto attenzione, cura, fiducia e ubbidienza. Tale parola e tale silenzio li si ascolta nell’Evangelo. Sta qui “il suono di voce sottile” che, udito da Elia, incoraggia e dà fiducia anche dinanzi alla tragedia. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 09 2018

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