Riflessioni

"Dio è morto". Gesù è risorto.

“Dio è morto”. Gesù è risorto Psicologi di moda, filosofi di varia tendenza e poi anche persone comuni canticchiano tutti lo stesso ritornello “Dio è morto”. Questo corto necrologio continua a diffondersi, ripetuto come macabro ritornello, da quando Friedrich Nietzsche lo adottò nel suo libro La gaia scienza (1882), riprendendolo da autori precedenti – la tradizione trobadorica provenzale, i Saggi di Ralph Waldo Emerson, ecc. Oggi, psicologi di moda, filosofi di varia tendenza e quindi anche persone comuni canticchiano lo stesso ritornello, forse senza rendersi conto delle “conseguenze estreme di questo enorme avvenimento, della inimmaginabile perdita di fiducia, di quale tramonto della morale, di quale sconvolgimento e crollo, di quale crescita del deserto e di quale eclisse, tutto ciò sarà causa in un lontano futuro” (Hans Küng, Dio esiste?, 1978, 413). Un futuro neppur troppo lontano, anzi già superato da eventi epocali: due guerre mondiali con decine di milioni di morti (quasi dimenticati); genocidi in Armenia, Europa, Africa, Estremo Oriente (quasi dimenticati); situazione di guerra continua in Medio Oriente e in diverse nazioni africane (il tutto alimentato da opulenti interessi nazionali occidentali e orientali); una concezione brutale, animalesca, bestiale della persona umana, con tutte le violenze corporali e mentali che ne conseguono – violenza di genere maschile e femminile, sfruttamento del lavoro minorile, abusi d’ogni tipo, plagio mentale mediante martellanti campagne di propaganda che invadono ogni ambito dell’umano sguardo, induzione al consumo di beni inutili, falsificazioni di ogni tipo e a tutti i livelli sociali. E crudeltà inumana. Una tragica condizione sintetizzabile nella frase “la corruzione nasce dall’eclissi della morale”, coniata dal noto giornalista ateo Eugenio Scalfari (la Repubblica, 25/11/2018). “Dio è morto”: questa brutta notizia ripetuta mille volte fino a farla sembrare convincente ha originato la florida industria globale della paura, in iperproduzione 24 ore su 24, con una immoralità (o amoralità, se si vuole) che è ormai davvero “al di là del bene e del male”, avendo gli esseri (dis-)umani perduto ogni discernimento del bene e del male. “Dio è morto”: una notizia assurdamente spaventosa, un antievangelo (“evangelo” significa “buona notizia”) che crea l’essere (dis-)umano per condurlo verso il nulla: “Davanti a noi non resta invero che il nulla” (A. Schopenhauer). “Dio è morto”: un necrologio che dà le vertigini, ma dinanzi al quale si potrebbe porre una prima domanda rivolta a psicologi di moda, a filosofi di varia tendenza e a persone comuni: “Come può morire un Dio che non esiste?” Infatti, prima di dire e ripetere che “Dio è morto”, l’altro ritornello che era stato intonato diceva: “Dio non esiste”. Ma come può morire colui che neppure esiste? Una seconda domanda potrebbe essere: Come mai tutti coloro che – da Nietzsche fino a Umberto Galimberti – hanno intonato il funereo ritornello sulla morte di Dio sono… morti? È vero, Galimberti è vivo (e gli si augura lunga vita), ma come tutti in questa generazione, anch’egli è destinato a morte certa. Mentre dunque intonano il “Requiem aeternam” su Dio, i cantori, intanto, o sono morti o sono morituri. Si sarebbe tentati di rispondere a quell’antievangelo con le parole dei versi di una bella canzone: “Ho visto / La gente della mia età andare via / Lungo le strade che non portano mai a niente / Cercare il sogno che conduce alla pazzia / Nella ricerca di qualcosa che non trovano (…) / Nel mondo fatto di città / Essere contro od ingoiare / La nostra stanca civiltà / È un Dio che è morto / Ai bordi delle strade, Dio è morto / Nelle auto prese a rate, Dio è morto / Nei miti dell’estate, Dio è morto / M’han detto / Che questa mia generazione ormai non crede (…) / Perché è venuto ormai il momento di negare / Tutto ciò che è falsità / Le fedi fatte di abitudini e paura / Una politica che è solo far carriera / Il perbenismo interessato / La dignità fatta di vuoto / L’ipocrisia di chi sta sempre / Con la ragione e mai col torto / È un Dio che è morto / Nei campi di sterminio, Dio è morto / Coi miti della razza, Dio è morto / Con gli odi di partito, Dio è morto (…) / Ma penso (…) / Che se Dio muore è per tre giorni / E poi risorge, / In ciò che noi crediamo Dio è risorto, / In ciò che noi vogliamo Dio è risorto, / Nel mondo che faremo Dio è risorto” (Francesco Guccini, Dio è morto, 1967). Si sarebbe dunque tentati di rispondere al necrologio di Dio utilizzando questi versi di Guccini. Però, onestamente, sarebbe insufficiente replicare con queste sue parole, pur nobili in parte e vere in parte. Perché in parte? Perché la prima sezione della canzone, quella legittimamente accusatoria, marcata da parole come “niente”, “pazzia”, “stanca civiltà”, “miti”, “falsità”, “sterminio”, è seguita da una conclusione che sembra solo quasi vera: “ciò che noi crediamo… ciò che noi vogliamo… ciò che noi faremo”. Quale ottimismo! Dal 1967, ma in realtà ben prima di questa data, ciò che “noi” abbiamo saputo credere, volere e fare è stato credere tante fandonie, volere in modo egoistico, agire in modo interessato. Troppe volte “noi” abbiamo creduto ciò che abbiamo voluto credere; “noi” abbiamo chiuso occhi e bocca dinanzi a tante situazioni non giuste; “noi” abbiamo non-reagito al male per motivi interessati (o quieto vivere); “noi” abbiamo voltato la faccia dall’altra parte con ipocrita volontà per non vedere, disinteressati, appagati della nostra presunta, orgogliosa, supponente, blasfema autonomia e indipendenza; “noi” abbiamo voluto non prendere sinceramente a cuore quel che concerneva il divino prossimo; “noi” abbiamo cercato e ri-cercato i nostri propri vantaggi; “noi” non abbiamo cercato e ri-cercato i vantaggi di Gesù Cristo (Filippesi 2,20 s.); alla legge di Mosè “noi” abbiamo anteposto la legge di Cristo, ma poi “noi” abbiamo dimenticato la legge di Cristo per ubbidire e sottostare e ricadere nella legge del sangue – parentela, figli, figlie, zii, zie, cugini, nipoti – dimenticando il sangue-sacrificio di colui che dice “ricordatevi di me”, e perciò tradendo colui che domanda “Chi sono mia madre e i miei fratelli?” e che risponde “Chi fa la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre” (Marco 3,32). Ed è per questo che a tutti gli atei spensierati (che non pensano), come ai cristiani che non pensano, irresponsabili, ignoranti, ignavi e ignari delle conseguenze del loro credere, del loro volere e del loro fare, ancor oggi Friedrich Nietzsche può chiedere e dire: “Dove se n’è andato Dio? – gridò l’uomo folle e li trapassò con i suoi sguardi – Ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!” (H. Küng, 415). L’affermazione è molto meno folle di quanto appaia. Non fu certo Nietzsche il primo a dare degli assassini a credenti superficiali irresponsabili ignoranti ignavi, ma fu l’autore ispirato da Dio (!) della Lettera agli Ebrei scrivendo di cristiani che “crocifiggono di nuovo per conto loro il figlio di Dio e lo espongono alla vergogna” (Ebrei 6,6). Ed è proprio così che “noi” abbiamo ucciso la verità accogliente di Cristo, la sua grazia forte, la riconciliazione con quel Dio coraggioso che ci voleva fatti simili a Lui affinché credessimo, volessimo e facessimo coraggiosamente cose degne della bontà che è Dio, dell’amore che è Dio, della grazia che è Cristo. Invece, “noi” ci si è accontentati di continuare a proclamarci “cristiani”, credendo stoltezze che sembravano (e sembrano!) buone, agendo da stolti, pensando alla facciata (ipocrita occhio sociale o chiesale), andando dietro a pensieri vani proposti da menti ottenebrate (e comportamenti pervertiti), sostituendo il proselitismo (e i suoi metodi) alla sana evangelizzazione (e alla parola), ben nutriti di avida propaganda, di vuoto mentale e di banalità di ogni genere. Ammaestrati a pensare (credere, agire) in questo modo distorto, “noi” abbiamo barattato la gloria dell’incorruttibile Dio con i miti, le passioni, le chimere, le attrazioni, le distrazioni e le dottrine (le dottrine) di quello scintillante cimitero chiamato “realtà del mondo”, dalle cui tombe di tanto in tanto si alza un morto per intonare che “Dio è morto”. Il dato di fatto è invece che: • se si rigetta Gesù che parla dalle pagine ispirate degli evangeli e di tutto il Nuovo Testamento (ma chi legge più? a chi importa ripensare, meditare, riflettere, studiare? A che serve mai studiare se le dottrine sono tutte già comode, scontate, importate?), • se si fa a meno della intercessione unica di Cristo sommo sacerdote che soffre con noi nelle nostre frequenti cadute (meglio forse altri intercessori, cioè le raccomandazioni di altri raccomandatori, più utili, più concrete?), • se si considera la croce-e-risurrezione di Gesù come notizia buona per un domenicale momentino ma troppo lontana (e quindi sostituibile con stimabili personaggi ritenuti forse più vicini, più proficui, più pratici?), allora ci si ritrova su una terra che “si è sciolta dalla catena del suo sole” (Nietzsche) per vagare dietro al canto macabro delle sirene… Alla vigilia della epocale distruzione del suo mondo, Gesù disse a quelli della sua generazione: “Quante volte ho cercato di radunarvi, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali! Ma voi non avete voluto! Perciò vi dico: Da ora in poi non mi vedrete più, finché diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Matteo 23,37 s.). Lui mantiene la parola. Non si è fatto più vedere. Quanto a noi, è questione di volontà: “voi non avete voluto”. Volere è ancora possibile. Ma se la morte-e-risurrezione di Gesù Cristo non riforma e non trasforma il nostro modo di credere, volere e fare, mangiamo e beviamo perché ieri morremo. © Riproduzione riservata - Roberto Tondelli [Sintesi di questo scritto in Libertà Sicilia 04 2019]

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