Il messaggio di Mattia: «Che bello respirare!»
Antonino Zichichi: «In fondo noi siamo dei palloni gonfiati!»
«Che bello respirare!» Proprio così ha esclamato Mattia, 38 anni di Castiglione d’Adda, primo paziente contagiato in Italia dal Covid-19, tornato a casa guarito il 23 marzo dopo oltre un mese di degenza e molti giorni di terapia intensiva all’Ospedale S. Matteo (Pavia) dove era arrivato in condizioni disperate. «È difficile fare un racconto di quanto mi è successo – ha detto Mattia – ricordo il ricovero in ospedale, sono stato 18 giorni in terapia intensiva e poi nel reparto malattie infettive dove ho iniziato ad avere un contatto con il mondo reale e fare la cosa più bella: TORNARE A RESPIRARE… Si può guarire».
Secondo la bella descrizione poetica della Genesi il PRIMO che RESPIRÒ fu l’uomo, maschio e femmina. L’Eterno «soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Genesi, 2). La prima cosa che facciamo quando veniamo al mondo è respirare. Che bello! Ed è cosa talmente nuova e inusuale per noi, che appena nati strilliamo a pieni polmoni, con tutto il fiato che abbiamo in corpo.
Dopo aver respirato liquido amniotico per 9 mesi, strilliamo per fare le nostre prove tecniche di respirazione. Chi ci accudisce sorride, non si preoccupa. Anzi, più strilliamo più sa che stiamo in salute, proprio perché respiriamo. Vivi siamo. Che forza questo fiato! Questo respiro che accelera quando corriamo o quando ci innamoriamo; questo fiato che rallenta quando pensiamo; questo spirito che si affievolisce quando siamo abbattuti ma che s’infervora se ce la prendiamo con un’ingiustizia, e gridiamo! strilliamo col fiato di fuori, e poi: «Gli ho detto quello che pensavo, finalmente respiro!» Questo fiato che ci rende vivi e adatti al lavoro; questo respiro che dopo un periodo di fatiche e preoccupazioni ci fa dire ancora: «Ecco, ora posso respirare!» Questo soffio che cala e si fa lieve quando cadiamo malati; ma che si riprende e si agita quando stiamo in salute e poi, una volta usciti da una brutta situazione, ci consente di dire: «che bello respirare!»
Ma come abbiamo fatto, per tanti troppi anni, a dare importanza a cose che oggi appaiono nella loro dimensione reale, cioè ri-di-co-le, e a dare per scontato quello che abbiamo (ricevuto) di più prezioso e vitale, il nostro respiro/spirito/fiato. Come facciamo a non sapere che l’Eterno «ha in mano l’anima di ogni vivente / e il soffio di ogni essere umano» (si noti il parallelismo semitico anima/soffio; Giobbe, 12). Tanto è vero che «se [l’Eterno] richiamasse il suo spirito a sé / e a sé ritraesse il suo soffio, / ogni carne morirebbe all’istante / e l’uomo ritornerebbe in polvere (Giobbe, 34).
Non è la morte forse una realtà che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, e proprio insieme alla vita? Anche se lo neghiamo. Non abbiamo voluto (sia detto in generale) ascoltare il grido dei fiati e dei sospiri dei morti affogati nel Mediterraneo. Oggi siamo costretti ad ascoltare l’urlo muto dei polmoni pieni di liquido dei morti per Covid-19.
L’uomo, maschio e femmina, muore per mancanza di fiato e per la potenza del suo errare: menzogna, creduloneria, ignoranza, supponenza, orgoglio, vanità, sete di potere (economico, politico, religioso), violenza, fornicazione, stoltezza; cioè, «tutto fiato sprecato!»; cioè, diseducazione dello spirito, del modo di respirare pensare agire dell’essere vivente. Anche Mattia, il primo guarito da virus, un giorno morirà. Gli auguriamo il più in là possibile. E auguriamo a lui e a noi che, prima di morire, noi tutti si rifletta un poco, se si vuole, su due cose meravigliose. La prima riguarda la persona di Cristo Gesù il Sapiente, che non si lascia tirare qua e là da fanatismi o finzioni, fossero pure religiose. Di lui l’apostolo, ponendo un confronto radicale, scrive: «Il PRIMO uomo, Adamo, divenne un essere vivente; L’ULTIMO ADAMO È SPIRITO CHE DÀ LA VITA» (1 Corinzi, 15). L’ultimo Adamo è Cristo. Per «sopravvivere» può bastare, per qualche decennio, lo spirito di Adamo. Ma per «vivere» è necessario nutrirsi di Cristo, del suo spirito vivente e vivificante che impariamo a conoscere (cioè, a «respirare») nei consigli dell’evangelo.
Infatti, a proposito di nutrimento, la seconda cosa meravigliosa da considerare oggi è la verità affermata da Cristo stesso: «È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla» (Giovanni, 6). La carne è l’aspetto debole, fragile dell’essere umano, che vive, si agita per un po’, si ammala, muore. La vita sta invece nel Respiro-di-Cristo-Gesù-risorto, il quale «parla» nelle pagine «ispirate da Dio» della Scrittura: qui l’Eterno parla al cuore dell’uomo e della donna, qui egli consola, consiglia, ammaestra, riprende, corregge, educa alla giustizia. Cioè a dire, insegna a respirare in armonia con il suo respiro. Beato chi impara a respirare Cristo Gesù. Antonino Zichichi, fisico di fama internazionale, considerando le distanze immense fra gli elementi subatomici costituenti il nostro corpo, disse: «In fondo noi siamo dei palloni gonfiati!» Vero è. Palloncini gonfiati dal fiato dell’Eterno.
© Riproduzione riservata Roberto Tondelli (Libertà Sicilia, 03 2020) cnt2000@alice.it